Andrea Botti, avvocato, socio del Rotary eClub 2050.
Ottobre, come ben sappiamo e come abbiamo ribadito nelle precedenti riunioni dedicate a questo tema, è il mese che il Rotary dedica all’Azione Professionale.
In particolare, “l’Azione professionale promuove l’osservanza di elevati principi morali nell’esercizio di ogni professione, riconosce la dignità di ogni occupazione utile e diffonde il valore del servire, propulsore ideale di ogni attività. I soci sono chiamati a operare, sul piano personale e professionale, in conformità con i principi del Rotary” (Manuale di Procedura 2013, pag. 63).
L’etica professionale finisce, dunque, per coincidere con i valori del servire, non solo a rimarcare il fatto che ogni professione realizza e sviluppa la personalità di colui che la svolge, ma anche a sottolineare la circostanza che l’attività lavorativa non può mai intendersi finalizzata al mero tornaconto di chi la pratica: al contrario, ciascun lavoro deve concorrere al benessere della collettività e deve assolvere, pertanto, ad un interesse collettivo.
Questi principi rotariani ben si sposano, del resto, con i valori fondamentali sui quali si fonda il contratto sociale che ha dato vita alla nostra Repubblica. Non mi sembra inutile rimarcare al riguardo che, come noto, la Carta costituzionale considera il lavoro come il motore propulsore della società, affermando solennemente che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (Art. 4).
Ecco, dunque, consacrato anche nella nostra Carta fondamentale il valore del lavoro come servizio.
Nell’ambito delle attività professionali, ve ne sono alcune che vengono definite “professioni protette”. Si tratta, cioè, di quelle attività che, per essere svolte, richiedono una specifica abilitazione professionale. Questa abilitazione è prevista sia perché è necessario che il professionista abbia le opportune competenze in materia, sia per la rilevanza pubblicistica di tali attività, che spesso toccano diritti “sensibili” delle persone o interessi della collettività.
In questa sede mi occuperò in particolare, e per evidenti ragioni personali, dei principi generali che sottendono allo svolgimento della professione forense, in un’ottica etica e deontologica calata nei valori rotariani, anche se, in generale, è giusto osservare che ogni professione che richiede l’iscrizione a un Albo ha un proprio codice deontologico.
Chi svolge la professione forense ha in primo luogo a che fare, quotidianamente, con due principi (io li definisco “valori”) fondamentali contenuti nella nostra Costituzione:
– Art. 3 (comma 1): “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”;
– Art. 24 (commi 1 e 2): “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Si tratta, a ben vedere, di due principi cardine del nostro ordinamento democratico in quanto vi si riconosce che: a) siamo tutti uguali (principio di uguaglianza); b) ciascuno (cittadino, straniero o apolide) deve poter agire in giudizio per difendere i propri diritti (diritto inviolabile di difesa).
Riguardo al primo aspetto, quando io, da legale, esamino la questione di un mio cliente, mi pongo sempre la domanda se la norma che potrebbe applicarsi al caso che sto esaminando sia una norma discriminatoria oppure se soddisfi il principio di uguaglianza: quella disposizione tratta in modo uniforme situazioni omogenee, oppure prevede una irragionevole disparità di trattamento tra fattispecie (“casi”) simili?
Uno dei più importanti doveri di un avvocato ritengo sia, dunque, sottoporre ad esame critico le norme di volta in volta applicabili al suo caso per verificare se rispettino o meno il principio secondo cui siamo tutti uguali davanti alla legge.
Lo considero un compito fondamentale, direi quasi un “dovere” civico (e non solo strettamente professionale) dell’avvocato, il quale è come una sentinella che ha l’incarico di individuare tutte le possibili criticità dell’ordinamento (da sottoporre poi al vaglio del Giudice), in modo che il principio costituzionale di uguaglianza (cardine dell’ordinamento democratico di una nazione) possa essere tutelato, sempre più affermato e costantemente preservato.
Il secondo diritto costituzionale con cui l’avvocato deve confrontarsi ogni giorno, e che egli deve parimenti concorrere ad attuare e preservare, è il “diritto inviolabile di difesa”. L’avvocato, cioè, è lo “strumento”, il mezzo tecnico attraverso il quale ogni persona deve poter difendere in giudizio i propri diritti e le proprie libertà.
Non è, evidentemente, una cosa da poco.
Per esplicare meglio tale compito, vorrei prendere a prestito il preambolo della “Carta dei principi fondamentali dell’avvocato europeo”, che così recita: “In una società fondata sul rispetto della giustizia, l’avvocato riveste un ruolo speciale. Il suo compito non si limita al fedele adempimento di un mandato nell’ambito della legge. L’avvocato deve garantire il rispetto dello stato di diritto e gli interessi di coloro di cui deve difendere i diritti e le libertà; l’avvocato ha il dovere non solo di difendere la causa ma anche di essere il consigliere del proprio cliente. Il rispetto della funzione professionale dell’avvocato è una condizione essenziale dello stato di diritto e di una società democratica” (Codice Deontologico degli Avvocati Europei del CCBE, articolo 1.1).
In sostanza, e lo dico senza enfasi né compiacimento in quanto rappresenta un dovere e non un privilegio, quando l’avvocato difende un proprio cliente, non solo tutela il suo assistito ma concorre (deve concorrere) contestualmente a garantire lo stato di diritto. Si tratta, senza dubbio, di un servizio.
Mi viene in mente, del resto, un altro caso di professione altrettanto congiunta a diritti inviolabili della persona: la professione medica. Il medico, non c’è neanche bisogno di ricordarlo, è lo “strumento” attraverso cui si attua l’Art. 32 della Costituzione, il quale afferma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Analogamente a dirsi poi, sempre a titolo esemplificativo, per la professione di architetto o di ingegnere, che sono collegate alla sicurezza e all’incolumità delle persone, o per quella di dottore commercialista, che si pone in rapporto con l’Art. 53 della Costituzione (dovere di concorrere alla spesa pubblica).
E come per le suddette professioni, anche quella forense ha una legge professionale (che detta i principi generali che la disciplinano) e un proprio codice deontologico (che fissa le regole in modo più dettagliato). Tali norme, dopo la Costituzione, sono in un certo senso la bussola costante dell’avvocato.
La recentissima Legge n. 247/12, entrata in vigore ai primi del 2013, ha ridefinito e attualizzato gli ambiti della professione forense.
Tale legge stabilisce che l’avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza, ha la funzione di garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti (art. 2). La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza (art. 3).
Ecco ritrovarsi, quindi, il connubio (direi inscindibile) “etica-servizio”, di cui abbiamo già parlato in precedenza. L’avvocato è un libero professionista ma, per il rilievo sociale della sua attività di difensore, è tenuto a standard etici particolarmente elevati perché la professione forense è anche servizio nell’interesse collettivo.
Nel quadro di questi principi generali, la nuova Legge Professionale forense (diversamente da quella previgente) ha riconosciuto particolare peso e valore vincolante alle disposizioni del Codice Deontologico Forense (in attuazione della L. n. 247/12, il nuovo C.D.F. è stato approvato in data 31/01/2014).
Particolarmente esemplificativo del rapporto “etica-servizio” è il relativo art. 1, il quale stabilisce che: “L’avvocato tutela, in ogni sede, il diritto alla libertà, l’inviolabilità e l’effettività della difesa, assicurando, nel processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio. L’avvocato, nell’esercizio del suo ministero, vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi, nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a tutela e nell’interesse della parte assistita. Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, della correttezza dei comportamenti, della qualità ed efficacia della prestazione professionale”.
Da tali principi di carattere generale derivano, poi, a cascata, norme più di dettaglio, quali ad esempio quelle che riguardano: il dovere di fedeltà verso il proprio cliente (art. 10); il dovere di segretezza e riservatezza (art. 13); il divieto di conflitto di interessi con il proprio assistito (art. 24); il dovere di informazione verso il cliente (art. 27) e di corretta informazione verso i terzi e il pubblico (la c.d. “pubblicità” – art. 35); il divieto di accaparramento di clientela (ad es. attraverso procacciatori e agenzie – art. 37); il dovere di verità (norma a mente della quale l’avvocato non deve introdurre nel processo prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi – art. 50).
Parlando di deontologia, ritengo significativo che anche il Rotary abbia adottato, nell’ambito dell’Azione Professionale, un proprio Codice Deontologico (riportato nel Manuale di Procedura 2013, pag. 63). Mi sembra utile trascriverlo qui di seguito per un più diretto raffronto con quello forense:
“Come Rotariano prometto di:
1) Testimoniare il valore fondamentale della integrità in ogni circostanza e/o comportamento.
2) Mettere a disposizione del Rotary le mie qualità ed esperienze professionali.
3) Svolgere ogni attività, sia personale che professionale, eticamente, promuovendo i più alti principi deontologici come esempio per gli altri.
4) Essere corretto in tutti i miei rapporti con gli altri e trattarli con il rispetto dovuto.
5) Riconoscere il valore e il rispetto dovuto a tutte le attività che sono utili alla società.
6) Mettere a disposizione delle Nuove generazioni le mie esperienze umane e professionali e creare opportunità di servizio a favore delle persone in difficoltà, al fine di migliorare la qualità della vita nella mia comunità.
7) Rendere merito alla stima generalmente riservata al Rotary e ai Rotariani e non far nulla che possa recare danno o discredito nei confronti del Rotary e dei colleghi Rotariani.
8) In qualsiasi relazione professionale e/o di affari, non sollecitare da un collega rotariano privilegi o vantaggi che non possano essere accordati a chiunque altro”.
Confrontando questi principi, credo sia evidente che la deontologia dell’avvocato e quella del rotariano possano sovrapporsi quasi perfettamente perché hanno entrambe un comune substrato di valori: l’etica e il servizio.
Al termine di queste considerazioni, siamo allora ritornati al punto dal quale siamo partiti: ogni lavoro deve concorrere al progresso e al benessere della collettività e, a maggior ragione, la nostra azione di rotariani deve essere improntata all’osservanza di elevati principi morali nell’esercizio delle rispettive professioni, al riconoscimento della dignità di ogni occupazione utile e, soprattutto, alla diffusione del valore del servire, propulsore di ogni attività.
In poche parole, potremmo forse dire semplicemente: “Service above self”?