Elena Caldirola, Direttore del Centro E-Learning e Innovazione Didattica dell’Università di Pavia.
Nell’aprile 2010 il Consiglio di Legislazione del Rotary International ha stabilito che le Nuove Generazioni diventino la quinta Via d’azione che si aggiunge all’Azione interna, all’Azione professionale, all’Azione di interesse pubblico e all’Azione internazionale, dimostrando con questa scelta legislativa l’impegno continuo e maggiore del Rotary nel coinvolgimento attivo dei giovani nelle azioni concrete dei Club e dei Rotariani. Prima di iniziare un progetto i Rotariani sono invitati a considerare attentamente come il loro club e i soci possano contribuire a ognuna di queste Vie d’azione. Il past President internazionale Ray Klinginsmith ha affermato che i migliori club sono quelli che hanno attività ben bilanciate tra le Vie d’azione e, in particolare, dice: “I club forti sono coinvolti in tutte le cinque Vie d’azione, ma quelli che non hanno programmi per le Nuove Generazioni si perdono una parte della grande avventura che è il Rotary e la nuova via d’azione migliora il valore dei programmi giovanili e il loro impatto sul futuro del Rotary”. E ancora: “Le Nuove generazioni non sono importanti solo per il futuro del Rotary ma per il futuro delle comunità e del modo intero”.
[Testo tratto dal sito web del distretto 2050 – Linee guida per l’azione dei club verso le iniziative a favore delle nuove generazioni].
In un mondo come quello che si va configurando, sempre più globalizzato sotto il profilo economico, dei mercati e delle relazioni internazionali, si rende indispensabile preparare i giovani alla mobilità, che può essere fisica (ed in questo il Rotary dispone di eccellenti e consolidati programmi di scambio di giovani come il Rotary Youth Exchange o svolta in mobilità virtuale, con il sostegno delle nuove tecnologie.
L’obiettivo è sempre quello di preparare i giovani al mondo attuale e di sostenerli al meglio nelle loro scelte e nella loro capacità di adattamento e resilienza.
I documenti dell’Unione Europea finalizzati allo sviluppo dell’istruzione hanno fortemente sottolineato l’importanza della mobilità internazionale dei giovani. L’obiettivo, sottolineato già nelle conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, è di favorire lo sviluppo di conoscenze più competitive e dinamiche, che consentano loro di affrontare le rapide e profonde trasformazioni economiche e sociali derivanti dalla globalizzazione. La mobilità per l’apprendimento è poi essenziale per garantire la qualità dell’istruzione superiore, aumentare la possibilità di occupazione degli studenti e ampliare la collaborazione tra i paesi dello Spazio europeo dell’istruzione superiore.
Per giungere a questo risultato non è sufficiente studiare la storia, la geografia, la letteratura di altri Paesi, ma è necessario acquisire una conoscenza reale e “quotidiana” delle specifiche culture. Per questo l’Unione Europea ha lanciato un programma per l’apprendimento permanente (Lifelong Learning Programme) che, attraverso diverse azioni (Erasmus, Leonardo da Vinci, Grundtvig, ecc.), ha permesso la mobilità internazionale per studio e tirocini formativi di studenti e membri del personale dell’istruzione superiore.
In particolare nell’anno accademico 2011/12 gli studenti universitari che hanno usufruito di questa possibilità sono stati 252.827.
Questo dato, pur rilevante, suggerisce che, su una popolazione studentesca totale di più di 24 milioni nei 33 paesi partecipanti al progetto Erasmus, solo l’1% circa ha potuto usufruire di una borse di studio nell’anno considerato.
Presupponendo che la durata media degli studi presso le istituzioni d’istruzione superiore sia di 4-5 anni (laurea e laurea magistrale), si può stimare che circa il 4,5% di tutti gli studenti europei possa ricevere una borsa Erasmus ad un certo punto nel corso dell’istruzione superiore. Di questi, 68% a livello di laurea, 28% a livello di laurea magistrale, 1% a livello di dottorato e 3% nell’ambito di un ciclo di studi breve.
Letto in senso opposto questo dato indica che ben il 95,5% di studenti non ha l’opportunità di usufruire di questa importante occasione formativa.
Proprio in virtù di questa situazione, nell’allegato al Comunicato di Bucarest dell’aprile 2012 i Ministri del Processo di Bologna hanno esplicitamente invitato le istituzioni d’istruzione superiore a sviluppare altre forme di mobilità, come la mobilità virtuale, per consentire agli studenti che non possono usufruire della mobilità fisica di avere comunque esperienze internazionali presso le proprie università.
Il concetto di mobilità virtuale è stato introdotto e si è consolidato verso la fine del secolo passato facendo esplicito riferimento ad attività educative formali e informali e avendo come punto focale la comunicazione e la fruizione collaborativa di differenti risorse, indipendentemente dalla loro collocazione fisica.
La stessa mobilità è stata anche descritta in termini di spostamenti di informazioni e “oggetti” in formato elettronico tra dispositivi informatici collocati in differenti spazi geografici, concludendo che la mobilità virtuale si estrinseca in movimenti di “bit” piuttosto che di “atomi”.
Il Coimbra Group ha enfatizzato gli aspetti interculturali della mobilità virtuale definendola come l’uso di Internet per consentire agli studenti di seguire corsi e partecipare a comunità accademiche remote senza la necessità di recarvisi fisicamente. Questo consente non solo di apprendere i contenuti dei corsi, ma anche di acquisire conoscenze sugli aspetti culturali delle sedi ospitanti.
In senso più generale per mobilità virtuale s’intende un’attività supportata da strumenti ICT (Information and Communication Technology), organizzata a livello istituzionale, che realizzi o faciliti esperienze collaborative internazionali in un contesto di insegnamento e/o di apprendimento.
Il termine ”attività” deve essere inteso in senso ampio, includendo oltre ad attività di studio, insegnamento e ricerca, anche aspetti organizzativi, logistici o amministrativi correlati al contesto educativo. Le attività possono essere totalmente virtuali (senza alcun spostamento fisico) oppure “blended”. In quest’ultimo caso le tecnologie informatiche sono usate a supporto della mobilità fisica, ad esempio durante il processo di selezione, per restare in contatto con l’università di provenienza o per la valutazione finale dei risultati.
Rispetto alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente definite dalla Commissione Europea, le esperienze maturate nell’ambito della mobilità virtuale si presentano particolarmente ricche in quanto ne intercettano almeno cinque (comunicazione in lingua straniera, competenze digitali, imparare ad imparare, competenze interpersonali, interculturali e sociali e competenza civica e, infine, espressione culturale).
La mobilità virtuale è anche conforme alla strategia digitale dell’UE che prevede di sfruttare le capacità di trasformazione collegate alle nuove tecnologie digitali per arricchire l’insegnamento, migliorare l’esperienza e la personalizzazione dell’apprendimento facilitandone l’accesso a distanza, razionalizzandone l’amministrazione e creando nuove opportunità per la ricerca.
In questo contesto, ho personalmente condotto una esperienza nell’ambito del progetto di Lifelong Learning Erasmus “VMCOLAB – European Co-Laboratory for the Integration of Virtual Mobility in Higher Education Innovation and Modernisation Strategies” che ha portato alla realizzazione di un corso pilota sulle “Open Educational Resources” (OER). Al progetto pilota, coordinato dalla Università Vytautas Magnus di Kaunas (Lituania), hanno contribuito con docenti ed esperti l’Università di Granada (Spagna), l’European Foundation for Quality in eLearning (EFQUEL) (Belgio), l’Università di Pavia (Italia) e l’Università di Jyväskylä (Finlandia); il corso è stato seguito per via telematica dalle rispettive sedi da 18 studenti di 5 nazionalità provenienti da 7 università europee.
I giudizi espressi dagli studenti tramite il questionario finale sono così riassumibili:
• acquisizione di effettive competenze sul tema oggetto del corso;
• significativi miglioramenti nell’uso della lingua inglese;
• alto gradimento dell’ambiente interculturale e delle relazioni sociali sviluppatesi;
• migliore familiarità nell’uso delle tecnologie, soprattutto multimediali;
• maggiore consapevolezza delle proprie capacità critiche e di riflessione.
L’evento formativo è stato importante anche per gli organizzatori e i docenti poiché ha permesso di valutare i fattori critici di successo.
Ora il corso, con tutti i relativi materiali, è diventato a sua volta una Open Educational Resource, rilasciata con licenza Creative Commons Attribution-Noncommercial-Share Alike 2.0 Belgio, disponibile cliccando qui.
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