L’identità digitale: un destino da avatar?

di Valentina Agnesi, imprenditrice, Socia dell’eClub 2050

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Quando si parla di impatto o di influenza della tecnologia ci si riferisce esclusivamente ad innovazioni che hanno superato la soglia dell’invenzione, per divenire, a tutti gli effetti, un ambiente quotidiano.

Quali sono le conseguenze dell’innovazione tecnologica? Quali i riflessi sulla nostra società? A queste e ad altre domande hanno, per lungo tempo, tentato di rispondere filosofi, scienziati e scrittori, ipotizzando, talvolta, scenari apocalittici popolati da un’umanità amorfa completamente schiava delle macchine, talaltra un popolo avanzato a cui tutto è possibile grazie a entusiasmanti scoperte.

Risale al Fedro platonico, infatti, la prima testimonianza in cui, in occidente, viene interpretata una tecnica in chiave di allontanamento dalla realtà. A prescindere dalla posizione in merito alle conseguenze delle tecnologie, bisogna innanzitutto riconoscerne la capacità di modificare la percezione della realtà, i comportamenti e le condizioni di vita dei soggetti.

Tali pregiudizi sono stati variamente argomentati e approfonditi da diversi studiosi, tra cui Flichy che dedica un intero volume all’innovazione tecnologica: L’innovation techinique, McLuhan, tipico esempio di determinismo tecnologico nel campo della communication research e Walter Ong (soprattutto in Orality and Literacy, The Techonoligizing of the Word). McLuhan analizza gli effetti delle tecnologie elettriche di trasmissione quali il telefono, la radio e il televisore sostenendo che queste ultime hanno comportato una vera mutazione antropologica, determinando un ritorno al paradigma dell’oralità intesa come una diversa concezione e prassi della circolazione culturale.

Anche Freud, analizzando l’impatto sociale delle invenzioni umane, sostiene, in Das Unbehagen in die Kultur, il maggior peso dell’infelicità comportata dalla modernità tecnologica a fronte della riduzione dell’infelicità e della sofferenza stessa.

Affinché si verifichi l’ingresso di una nuova tecnologia all’interno di una società sono necessarie due condizioni:

  • L’invenzione umana deve presentarsi come soluzione più conveniente a problemi o bisogni che sono già stati risolti o soddisfatti in modo più difficile o faticoso.

Un chiaro esempio di questo primo punto è costituito dall’incredibile successo e diffusione dei cellulari che hanno migliorato la corrispondenza tra i soggetti, riducendo a una manciata di secondi comunicazioni per cui, in precedenza, erano richiesti giorni, mesi o anni a causa di lunghissimi tempi di consegna.

  • La progressiva e successiva accettazione della tecnologia comporta una sua trasformazione dovuta all’interrelazione tra l’offerta industriale e la domanda e l’uso quotidiano.

Riprendendo l’esempio fatto in precedenza, negli ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva e rapida evoluzione del concetto stesso di cellulare. Da mero strumento volto a facilitare la comunicazione esso è diventato un irrinunciabile dispositivo nel quotidiano dotato di funzioni per noi ormai essenziali per la vita di tutti i giorni. La maggior parte di noi, infatti, si appoggia quasi esclusivamente all’iPhone per la sveglia, il meteo, il navigatore, la radio, il dizionario, il controllo del proprio conto corrente e varie operazione bancarie, la fotocamera, la prenotazione di hotel e biglietti aerei, la lettura di giornali..

Facebook è un altro esempio di come una nuova tecnologia si sia evoluta e trasformata a seguito della correlazione tra l’offerta industriale e la domanda e l’uso quotidiano. Il suo utilizzo, inizialmente rivolto esclusivamente agli studenti dell’Università di Harvard, ha raggiunto, nel 2015, un miliardo di utenti attivi contemporaneamente sulla piattaforma.

L’introduzione di Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat e altri servizi di rete sociale, hanno fortemente influenzato la società e il modo di vivere delle persone. Avere un profilo su un Social Network (espressione con cui si intende un vero e proprio cyberspazio ossia un luogo virtuale che permette la creazione e lo sviluppo di gruppi e comunità) è oggi la norma e ci si stupisce se si incontra qualcuno non iscritto. E’ sempre più rara la domanda “Mi dai il tuo numero di telefono?” mentre è sempre più frequente “Ti posso aggiungere su facebook?”.

Non è più necessario alzare la cornetta del telefono per informarsi sullo stato di salute di un amico poiché è sufficiente cercarlo e aggiungerlo su un Social Network per essere informati sulla sua vita. Le foto, i video, le frasi che i nostri contatti pubblicano ci permettono di partecipare ed essere presenti, anche se solo in via telematica, ad eventi ed occasioni che ci sarebbe altrimenti preclusi.

Indubbiamente l’esistenza nel cyberspazio è più semplice. I Social Network rappresentano, a tutti gli effetti, un’opportunità di cambiamento della propria posizione e di aumento della rete sociale di ognuno ove è altresì possibile creare un’immagine di sé stessi che corrisponde ai propri desideri, ma che, indubbiamente, è sempre meno reale e sempre più frutto della fantasia. L’impression management è un’espressione che indica la possibilità di un soggetto di scegliere la propria presentazione, tagliando la propria immagine del profilo e personalizzandola in vari modi (Facetune è solo un esempio delle migliaia di applicazioni che gli utenti utilizzano a tal fine). Si potrebbe pensare che dietro un grande profilo c’è un grande self made man cioè una persona che si serve di una realtà virtuale per autopromuoversi (sono sempre di più, infatti, i giovani che scelgono proprio Facebook per promuovere le proprie capacità, raggiungendo, non di rado, i risultati di fama sperati).

La volontà di creare e di vivere una realtà parallela non è stata introdotto dai Social Network, ma ha radici profonde nel passato. I poètes maudits, rigettando i valori della società, conducevano uno stile di vita provocatorio, pericoloso, asociale o autodistruttivo e, attraverso l’uso di alcol e droghe, evadevano dalla normalità rifugiandosi in un mondo creato dalle allucinazioni costruite dalla propria mente, ma indotte dalla chimica.

L’esistenza sul web è altresì un rifugio, un porto sicuro in cui nascondersi. Sherlock Holmes, ogni volta che cade in uno stato di inattività, per fronteggiare la depressione, la banalità e il grigiore dell’esistenza, fa uso di cocaina o morfina. Oggi, grazie a giochi quali Theme Hospital (un videogioco in cui il giocatore progetta e gestisce un ospedale all’avanguardia i cui pazienti soffrono di malattie stravaganti), The Sims, Simcity (simulatori, da cui il nome Sim, di vita popolati da personaggi che nascono vivono, muoiono, si riproducono, si nutrono sviluppano relazione in campo lavorativo e sentimentale, vivono in vere e proprie case che devono essere costruite dal giocatore..)  e molti altri, è possibile indossare una maschera, creare un Avatar, un personaggio che rappresenti quello che noi vorremmo essere e vivere esperienze di vita diverse dal quotidiano. Per alcuni si tratta di protezione di fronte a una realtà che spaventa e a problemi che non si è in grado di affrontare, per altri un modo per fuggire alla monotonia di una vita che appare noiosa e grigia.

Battere gli altri giocatori, anche se solo in una realtà virtuale, totalizzando punteggi più alti, sta diventando, per un sempre maggior numero di individui, una vera e propria ragione di vita. Di conseguenza è fiorito un settore, divenuto una vera e propria industria, sempre più redditizio. Stiamo assistendo a un’esplosione di giochi quali Boom Beach e The Smurfs (giochi di strategia in cui bisogna costruire villaggi e, rispettivamente, attaccare quelli degli altri giocatori o visitarli per raccogliere risorse). L’inquietante realizzazione quasi esclusivamente virtuale di un sempre più alto numero di soggetti ha comportato, recentemente, l’enorme successo di Pokémon Go (si tratta di un videogioco basato su una realtà aumentata geolocalizzata in cui il protagonista deve catturare Pokémon attraverso le Poké Balls e affrontarli all’interno di palestre). Alcuni giocatori, infatti, sono stati la causa di incidenti stradali mentre tentavano di catturare un Pokémon comparso sul loro percorso digitale o si sono introdotti in proprietà private per raggiungere una palestra, dimostrando così una totale immersione nel mondo digitale e un inquietante disinteresse e scollamento dalla vita reale.

Ciò che ci circonda attira sempre meno la nostra attenzione (se non, forse, per postare delle belle foto su Facebook da mostrare ai nostri contatti) e, se diversi anni fa si poteva restare incantanti di fronte ai colori di un meraviglioso tramonto, oggi si è elettrizzati catturando una rara specie di Pokémon.

“O Wonder! How many godly creatures are there here! How beauteous mankind is! O brave new world that has such people in it!” (“O meraviglia! Quante creature divine io vedo qui! Che umanità splendida è questa! O nuovo mondo impavido, che ospiti umani di tal genere!”) queste parole, pronunciate da Miranda in The Tempest di William Shakespeare mi fanno pensare alla (sperabile e auspicabile) meraviglia che proveranno (si spera tra non molto tempo) coloro che, immersi da lungo tempo in una realtà virtuale, si ricorderanno finalmente di guardare ciò che li circonda.

L’interazione tra il mondo virtuale e il mondo reale è bidirezionale ed il risultato è un’interrealtà nella quale il soggetto modifica e controlla l’esperienza e la sua e l’altrui identità sociale in un modo totalmente nuovo rispetto al passato. Tutto ciò può comportare dei problemi a chi, come i giovani, non hanno ancora sviluppato una personalità matura e completa. L’adolescenza è il periodo più importante per la definizione dell’identità del soggetto e, a tal fine, è necessaria l’interazione di una serie di componenti: di tipo personale (capacità) di tipo sociale (inserimento nei ruoli sociali) e di tipo esperienziale (le identificazioni e le vicissitudini emotive). L’interrealtà è un contesto che favorisce la moltiplicazione delle identità piuttosto che la loro integrazione con delle conseguenti ripercussioni sul processo di maturazione dell’identità del soggetto e sui rapporti sociali e personali dell’adolescente. Quest’ultimo, attirato dalla possibilità di modificare e svelare la propria identità a piacimento e dalla facilità di esprimere sé stesso abbattendo il timore del giudizio immediato, è sempre più soggetto al bisogno di ottenere l’approvazione del mondo virtuale e rischia di rimanere intrappolato nel cyberspazio nel tentativo di assecondare le logiche dell’interrealtà e nell’eterna attesa di ottenere gratificazioni da essa, non riuscendo così a sviluppare un’identità autentica.

Un altro aspetto critico delle realtà virtuali è l’emotional litteracy o analfabetismo emotivo, un espressione di Goleman con cui si intende la mancanza di consapevolezza e di controllo delle proprie emozioni, delle ragioni per le quali si prova una certa emozione e l’incapacità di relazionarsi con quelle altrui (che non vengono riconosciute e comprese) e con i comportamenti che da esse scaturiscono.

L’utilizzo massiccio dei Social Network ha altresì modificato il nostro vocabolario rendendo di uso comune espressioni come: postare e twittare parole che, sino a qualche anno fa, non avevano alcun significato.

Ma perché la realtà digitale piace così tanto? Indubbiamente, il cyberspazio ci offre esclusivamente stimoli positivi, non si tratta del mondo di Sherlock Holmes o dei poètes maudits che, essendo creato dall’uso di droghe, era accompagnato da un degrado fisico. Ma è davvero così? L’allenamento esclusivamente virtuale porta con sé, inevitabilmente, un infiacchimento e un indebolimento fisico che, a lungo andare, non può che nuocere alla salute.

Nonostante ciò, a lungo andare, sempre più persone decideranno di vivere esclusivamente nel cyberspazio, gratificate dagli stimoli sensoriali virtuali, e come dice Jake Sully in “Avatar”: “Adesso mi sembra questa la realtà, e il mondo reale la fantasia”, assisteremo alla nascita di una nuova realtà.

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